martedì 27 marzo 2018

NELLA SETTIMANA SANTA - IL TALLIT

IL TALLIT DI DIO
CATECHESI DI  DON ANGELO SARACENO

Il Tallit è lo scialle bianco con strisce blu che copre il capo e le spalle degli uomini durante la preghiera quotidiana (invenzione che si attribuisce direttamente a Dio).
Il midrash Rosh Hashanàh narra che Dio in persona si manifestò a Mosè avvolto nel tallit allo scopo d’insegnargli come avrebbe dovuto pregare ogni Israelita orante in futuro, e mentre si manifestava proclamava i tredici attributi di Dio elencati in Es 34,6-7:
1.     Signore – 2. Eterno – 3. Dio – 4. Pietoso – 5. Misericordioso – 6. Longanime – 7. Ricco di benevolenza – 8. Ricco di verità – 9. Conserva il suo favore per mille generazioni – 10. Perdona il peccato – 11. Perdona la colpa – 12. Perdona la ribellione – 13. Colui che assolve

Perché 13? La risposta è rivelazione di un mistero grande e straordinario. Secondo la Ghematria o scienza dei numeri che applica una regola esegetica ebraica, a ogni consonante dell’alfabeto (nell’ebraico biblico scritto le vocali non esistono ma sono solo pronunciate) corrisponde un numero. Poiché il nome di Dio (Yhwh) ha valore di 26, il numero 13 è esattamente la sua metà; anche la parola ‘ehad – uno ha valore di 26. Non solo ma il termine “Amore – ahavàh” ha il valore di 13, esattamente quanti sono gli attributi di Dio.
Parafrasando potremmo dire che per fare Dio = 26 occorre un amore (=13) più le qualifiche/attributi di Dio stesso (=13) perché Dio è Amore (1Gv 4,8).
Allo stesso modo, quando un uomo e una donna si uniscono per formare una “sola carne” fondano l’amore maschile che vale 13 e l’amore femminile che vale 13 e solo insieme esprimono “immagine e la somiglianza di Dio” (cf Gen 1,27) partecipando alla vita divina che è uguale a 26.
Per fare un Dio occorrono due amori fusi in uno.
Chi ama porta in sé la metà di Dio e le sue qualifiche, e unendosi all’altra metà che è la persona amata forma un’unità sola, come uno è Dio.
Questa misteriosa unione mistica avviene nella preghiera che è il “luogo” dove l’amore si fa carne e Dio si rende visibile perché lo Sposo può finalmente “vedere” la voce della Sposa e toccare il logos/verbo della vita (!Gv 1). Qui è il fondamento della sacralità del rapporto sessuale che se visto in questa chiave, è la preghiera suprema che manifesta alla “coppia – uno” il volto e la gloria di Dio unico.
Quando si parla di “chiesa domestica” è questo che  s’intende: l’amore coniugale è la preghiera più alta perché è l’altare dove il volto di Dio = 26 che è Uno = 26 si esprime e si fonde nell’unità della coppia (=13+13) che così diventa la manifestazione orante del volto di Dio.




In ginocchio
Adorazione eucaristica.
Una realtà questa che spesso crea imbarazzo, non si sa esattamente cosa fare.
Recitare una preghiera? Confidare a voce bassa i propri pensieri? O stare semplicemente in silenzio?
Semplicemente inginocchiarsi ha in sé un che di strano.
“In greco la parola adorazione – proskinesis – significa gesto di sottomissione, il riconoscimento di Dio come nostra vera misura.
Significa che libertà non vuol dire godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e buoni.
La parola latina per adorazione è ad – oratio contatto bocca a bocca, abbraccio e quindi in fondo amore.
La sottomissione diventa unione, perché colui al quale ci sottomettiamo è Amore.
Così sottomissione acquista un senso, perché non si impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima verità del nostro essere”. (Benedetto XVI)
Sottomissione, libertà
Due antipodi che l’adorazione eucaristica pretende di mettere insieme. In quei momenti di silenzio davanti all’ostensorio riemerge questa verità: che il tema fondamentale è sempre lo stesso.
Dio chiede all’uomo una dipendenza fiduciale.
Occorre rinnovare la nostra scelta – decisione:
l’autonomia da Dio = il peccato
l’eteronomia da Dio = salvezza.
Inginocchiarsi è il segno di questa scelta.
Occorre allora riscoprire il vero senso dell’adorazione come scelta di vera libertà
P. Angelo Saraceno

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