IL TALLIT DI DIO
CATECHESI DI
DON ANGELO SARACENO
Il
Tallit è lo scialle bianco con strisce blu che copre il capo e le spalle degli
uomini durante la preghiera quotidiana (invenzione che si attribuisce
direttamente a Dio).
Il midrash Rosh Hashanàh narra che Dio in
persona si manifestò a Mosè avvolto nel tallit allo scopo d’insegnargli come
avrebbe dovuto pregare ogni Israelita orante in futuro, e mentre si manifestava
proclamava i tredici attributi di Dio elencati in Es 34,6-7:
1.
Signore – 2. Eterno – 3. Dio – 4. Pietoso –
5. Misericordioso – 6. Longanime – 7. Ricco di benevolenza – 8. Ricco di verità
– 9. Conserva il suo favore per mille generazioni – 10. Perdona il peccato –
11. Perdona la colpa – 12. Perdona la ribellione – 13. Colui che assolve
Perché 13? La risposta è rivelazione di
un mistero grande e straordinario. Secondo la Ghematria o scienza dei numeri
che applica una regola esegetica ebraica, a ogni consonante dell’alfabeto
(nell’ebraico biblico scritto le vocali non esistono ma sono solo pronunciate)
corrisponde un numero. Poiché il nome di Dio (Yhwh) ha valore di 26, il numero
13 è esattamente la sua metà; anche la parola ‘ehad – uno ha valore di
26. Non solo ma il termine “Amore – ahavàh” ha il valore di 13, esattamente
quanti sono gli attributi di Dio.
Parafrasando potremmo dire che per fare Dio
= 26 occorre un amore (=13) più le qualifiche/attributi di Dio stesso (=13)
perché Dio è Amore (1Gv 4,8).
Allo stesso modo, quando un uomo e una donna
si uniscono per formare una “sola carne” fondano l’amore maschile che vale 13 e
l’amore femminile che vale 13 e solo insieme esprimono “immagine e la
somiglianza di Dio” (cf Gen 1,27) partecipando alla vita divina che è uguale a
26.
Per fare un Dio occorrono due amori fusi in
uno.
Chi ama porta in sé la metà di Dio e
le sue qualifiche, e unendosi all’altra metà che è la persona amata forma
un’unità sola, come uno è Dio.
Questa misteriosa unione mistica avviene
nella preghiera che è il “luogo” dove l’amore si fa carne e Dio si rende
visibile perché lo Sposo può finalmente “vedere” la voce della Sposa e toccare
il logos/verbo della vita (!Gv 1). Qui è il fondamento della sacralità del
rapporto sessuale che se visto in questa chiave, è la preghiera suprema che
manifesta alla “coppia – uno” il volto e la gloria di Dio unico.
Quando si parla di “chiesa domestica” è
questo che s’intende: l’amore coniugale
è la preghiera più alta perché è l’altare dove il volto di Dio = 26 che è Uno =
26 si esprime e si fonde nell’unità della coppia (=13+13) che così diventa la
manifestazione orante del volto di Dio.
In
ginocchio
Adorazione eucaristica.
Una realtà questa che spesso crea
imbarazzo, non si sa esattamente cosa fare.
Recitare una preghiera? Confidare a voce
bassa i propri pensieri? O stare semplicemente in silenzio?
Semplicemente inginocchiarsi ha in sé un
che di strano.
“In greco la parola adorazione –
proskinesis – significa gesto di sottomissione, il riconoscimento di
Dio come nostra vera misura.
Significa che libertà non vuol dire
godersi la vita, ritenersi assolutamente autonomi, ma orientarsi secondo la
misura della verità e del bene, per diventare in tal modo noi stessi veri e
buoni.
La parola latina per adorazione è
ad – oratio contatto bocca a bocca, abbraccio e quindi in fondo
amore.
La sottomissione diventa unione, perché
colui al quale ci sottomettiamo è Amore.
Così sottomissione acquista un senso,
perché non si impone cose estranee, ma ci libera in funzione della più intima
verità del nostro essere”. (Benedetto XVI)
Sottomissione, libertà
Due antipodi che l’adorazione
eucaristica pretende di mettere insieme. In quei momenti di silenzio davanti
all’ostensorio riemerge questa verità: che il tema fondamentale è sempre lo
stesso.
Dio chiede all’uomo una dipendenza
fiduciale.
Occorre rinnovare la nostra scelta –
decisione:
l’autonomia da Dio = il peccato
l’eteronomia da Dio = salvezza.
Inginocchiarsi è il segno di questa
scelta.
Occorre allora riscoprire
il vero senso dell’adorazione come scelta di vera libertàP. Angelo Saraceno
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