Roveto ardente
Catechesi di don Angelo Saraceno nella Settimana Santa.
La
preghiera desiderio umano di vedere Dio e bisogno di Dio di vedere l’assemblea
orante
A) Fammi vedere il tuo volto
Mosè è il punto di partenza per capire il senso della
preghiera come aspirazione che si consuma nella visione e non nella contrattazione.
Il desiderio espresso da Mosè, che è l’ambito universale di conoscere Dio, è
descritto come esperienza di vita che raggiunge il suo vertice nella visione
del volto di Dio. Mosè sa che il Dio dell’Esodo non può essere imprigionato
nelle categorie della religione perché di lui non si può possedere nemmeno il
“nome” (Es 1,14).
Può essere desiderato, ma non visto, gli si può
parlare ma senza vederne il volto. È un Dio vicino (Dt 4,7) ma anche un Dio
terribile (Dt 10,17). Nessun ebreo può aspirare a vedere YHWH senza
sperimentare la morte. “Chiunque vede Dio muore” (Es 33,20).
In
Esodo 3 si racconta la visione del roveto ardente.
Appena Mosè si rende conto di essere in una
terra consacrata al Dio della montagna “El-Elohim” è preso dal terrore e deve
togliersi i sandali fatti con pelle di animali morti e quindi sorgente
d’impurità (Es 3,5).
Appena la voce si manifesta come “Dio”, Mosè si butta la
faccia a terra perché ha paura di morire. Mosè si copre il volto. Il desiderio
di Dio, comunque, è più forte della paura della morte, perché Mosè, a cui “il
Signore parlava […] faccia a faccia come uno parla con il proprio amico” (Es
33,11) senza però poter essere visto, esprime l’anelito del profeta che porta
in sé il bisogno dell’umanità intera (Es 33,13-23).
Il dialogo tra Dio e Mosè è un continuo rincorrersi,
un tentativo di sfuggirsi: Mosè chiede di conoscere la via e Dio risponde
promettendo che il volto suo camminerà con lui: Mosè implora di “vedere
la gloria”, e Dio promette di fare passare davanti a lui “tutta la mia bontà”
mentre proclama il “Nome”.
Dio consegna a Mosè la visione di sé nella preghiera
fondata sul merito dei padri, mai sulla preghiera corale, espressione del
senso di Assemblea che comprende anche gli antenati, quasi a dire che quando
noi preghiamo, anche in solitudine, non siamo mai soli, perché sempre la
nostra preghiera è corale, ecclesiale.
B)
“Fammi sentire la tua voce”
Es 33,22 – Mosè è nascosto da Dio nella “cavità della
rupe” coperto dalla mano di Dio che si mostra di spalle. Cf Cantico dei
Cantici 2,14 dove il giovane amante appassionato e frenetico cerca
disperatamente di vedere il volto dell’innamorata.
Dio è l’innamorato sposo che arde di passione per la
sua sposa, Israele. Al desiderio di Mosè di vedere Dio e al desiderio
dell’innamorato del Cantico di vedere il volto della sposa, il Signore risponde
non solo insegnando le regole della preghiera (Tallit) ma supplicando la santa
Assemblea di dare a lui stesso, a Dio, la possibilità di contemplare il volto
d’Israele quando prega.
Si ribaltano i
ruoli: non è più solo l’uomo che desidera vedere Dio, ora è Dio che vuole
contemplare il volto dell’assemblea/sposa nell’atto della preghiera, perché
nella preghiera si consuma la conoscenza che diventa estasi e contemplazione:
l’amore.
Quando noi preghiamo
è Dio che contempla noi e arde dal desiderio di vedere il nostro volto.
Pregare nella sua
essenza più mistica e assoluta è rispondere
al bisogno di Dio di ascoltare la voce amabile della sua sposa-assemblea e di
contemplare il volto splendente di opere buone.
Ci si riunisce in Assemblea
liturgica perché essa è il volto che Dio anela contemplare, e solo
in essa riceviamo la grande opera buona della Parola – Carne che noi
restituiamo a Dio che la ridona a noi in benedizione e forza di vita.
Anche i greci (come
Mosè e come nel Cantico nel Vangelo di Giovanni 12,20-21 “vogliono vedere
Gesù”. La prima missione con e per il Risorto è la preghiera.
Non preoccupiamoci
tanto di “vedere” Dio o di chiedere soluzioni ai problemi della vita, perché
“il Padre celeste sa che ne avete bisogno” (Mt 6,32) quanto piuttosto di lasciarci
vedere da Dio, dandogli la gioia di poterci contemplare mentre preghiamo,
mentre dichiariamo il nostro amore e condividiamo la nostra passione nella
Santa Assemblea.
In un contesto di
vita attuale dove il mostro supremo è l’efficienza, i veri testimoni di
preghiera autentica diventano l’uomo e la donna che pregano, cioè coloro
che sanno e vogliono perdere tempo in una duplice direzione: davanti a Dio e
davanti agli uomini e donne di oggi.
Pregare è perdere
tempo per Dio e per l’umanità, esperienza che solo gli innamorati sanno
comprendere perché sono gli unici che sanno perdere tempo per amore, con amore
e nell’amore, ben sapendo che non è mai tempo perso.
C’è una differenza
abissale tra “perdere tempo” e “tempo perso”.
Il primo è
atteggiamento attivo, scelta motivata dalla presenza di un altro che è il senso
e la pienezza della propria esistenza: il secondo è passivo e quindi subìto,
spesso senza coscienza e con distrazione. Chi ama perde tempo, ma non si perde
mai.
Don Angelo Saraceno
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