martedì 27 marzo 2018

FAMMI VEDERE IL TUO VOLTO


Roveto ardente  

Catechesi di don Angelo Saraceno nella Settimana Santa.


La preghiera desiderio umano di vedere Dio e bisogno di Dio di vedere l’assemblea orante


A)     Fammi vedere il tuo volto
Mosè è il punto di partenza per capire il senso della preghiera come aspirazione che si consuma nella visione e non nella contrattazione. Il desiderio espresso da Mosè, che è l’ambito universale di conoscere Dio, è descritto come esperienza di vita che raggiunge il suo vertice nella visione del volto di Dio. Mosè sa che il Dio dell’Esodo non può essere imprigionato nelle categorie della religione perché di lui non si può possedere nemmeno il “nome” (Es 1,14).
Può essere desiderato, ma non visto, gli si può parlare ma senza vederne il volto. È un Dio vicino (Dt 4,7) ma anche un Dio terribile (Dt 10,17). Nessun ebreo può aspirare a vedere YHWH senza sperimentare la morte. “Chiunque vede Dio muore” (Es 33,20).
In Esodo 3 si racconta la visione del roveto ardente.
Appena Mosè si rende conto di essere in una terra consacrata al Dio della montagna “El-Elohim” è preso dal terrore e deve togliersi i sandali fatti con pelle di animali morti e quindi sorgente d’impurità (Es 3,5).
Appena la voce si manifesta come “Dio”, Mosè si butta la faccia a terra perché ha paura di morire. Mosè si copre il volto. Il desiderio di Dio, comunque, è più forte della paura della morte, perché Mosè, a cui “il Signore parlava […] faccia a faccia come uno parla con il proprio amico” (Es 33,11) senza però poter essere visto, esprime l’anelito del profeta che porta in sé il bisogno dell’umanità intera (Es 33,13-23).
Il dialogo tra Dio e Mosè è un continuo rincorrersi, un tentativo di sfuggirsi: Mosè chiede di conoscere la via e Dio risponde promettendo che il volto suo camminerà con lui: Mosè implora di “vedere la gloria”, e Dio promette di fare passare davanti a lui “tutta la mia bontà” mentre proclama il “Nome”.
Dio consegna a Mosè la visione di sé nella preghiera fondata sul merito dei padri, mai sulla preghiera corale, espressione del senso di Assemblea che comprende anche gli antenati, quasi a dire che quando noi preghiamo, anche in solitudine, non siamo mai soli, perché sempre la nostra preghiera è corale, ecclesiale.
B) “Fammi sentire la tua voce”
Es 33,22 – Mosè è nascosto da Dio nella “cavità della rupe” coperto dalla mano di Dio che si mostra di spalle. Cf Cantico dei Cantici 2,14 dove il giovane amante appassionato e frenetico cerca disperatamente di vedere il volto dell’innamorata.
Dio è l’innamorato sposo che arde di passione per la sua sposa, Israele. Al desiderio di Mosè di vedere Dio e al desiderio dell’innamorato del Cantico di vedere il volto della sposa, il Signore risponde non solo insegnando le regole della preghiera (Tallit) ma supplicando la santa Assemblea di dare a lui stesso, a Dio, la possibilità di contemplare il volto d’Israele quando prega.
  
Si ribaltano i ruoli: non è più solo l’uomo che desidera vedere Dio, ora è Dio che vuole contemplare il volto dell’assemblea/sposa nell’atto della preghiera, perché nella preghiera si consuma la conoscenza che diventa estasi e contemplazione: l’amore.
Quando noi preghiamo è Dio che contempla noi e arde dal desiderio di vedere il nostro volto.
Pregare nella sua essenza più mistica e assoluta è rispondere al bisogno di Dio di ascoltare la voce amabile della sua sposa-assemblea e di contemplare il volto splendente di opere buone.
Ci si riunisce in Assemblea liturgica perché essa è il volto che Dio anela contemplare, e solo in essa riceviamo la grande opera buona della Parola – Carne che noi restituiamo a Dio che la ridona a noi in benedizione e forza di vita.
Anche i greci (come Mosè e come nel Cantico nel Vangelo di Giovanni 12,20-21 “vogliono vedere Gesù”. La prima missione con e per il Risorto è la preghiera.
Non preoccupiamoci tanto di “vedere” Dio o di chiedere soluzioni ai problemi della vita, perché “il Padre celeste sa che ne avete bisogno” (Mt 6,32) quanto piuttosto di lasciarci vedere da Dio, dandogli la gioia di poterci contemplare mentre preghiamo, mentre dichiariamo il nostro amore e condividiamo la nostra passione nella Santa Assemblea.
In un contesto di vita attuale dove il mostro supremo è l’efficienza, i veri testimoni di preghiera autentica diventano l’uomo e la donna che pregano, cioè coloro che sanno e vogliono perdere tempo in una duplice direzione: davanti a Dio e davanti agli uomini e donne di oggi.
Pregare è perdere tempo per Dio e per l’umanità, esperienza che solo gli innamorati sanno comprendere perché sono gli unici che sanno perdere tempo per amore, con amore e nell’amore, ben sapendo che non è mai tempo perso.
C’è una differenza abissale tra “perdere tempo” e “tempo perso”.
Il primo è atteggiamento attivo, scelta motivata dalla presenza di un altro che è il senso e la pienezza della propria esistenza: il secondo è passivo e quindi subìto, spesso senza coscienza e con distrazione. Chi ama perde tempo, ma non si perde mai.
Don Angelo Saraceno

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