martedì 20 febbraio 2018

IL CORAGGIO DI FERMARSI, RIFLETTERE E CONDIVIDERE.


Riportiamo integralmente il documento pensato da don Angelo Saraceno e donato alla sua comunità per fermarsi, riflettere e condividere l’inizio di un cammino quaresimale, un cammino “in salita” per meglio comprendere nel silenzio l’Amore ed il “passare oltre di nostro Gesù Cristo”.

Giornata di deserto comunitario
Sabato 17 febbraio 2018 – Centro Utopia
Ferma il tempo
Passiamo le nostre giornate a fare, non abbiamo tempo di essere, non troviamo il tempo per pensare chi siamo, cosa desideriamo dalla vita, dove stiamo andando, per che cosa vale la pena vivere.
Alziamo lo sguardo dai telefonini per tornare a guardare il cielo e gli altri.
Dio come sei? Dio chi sei? Dio dove sei?
In viaggio con Tobia
Non siamo soli
Come ci accorgiamo dell’amore di Dio? Non sempre è facile!
Eppure le cose della nostra vita, piccole e grandi, facili o difficili, liete o dolorose ci parlano: ci raccontano innanzitutto che non siamo soli, mai, e che siamo amati; da sempre e per sempre.
Anche la nostra vita è un viaggio durante il quale possiamo scoprire tutta la ricchezza che abbiamo a disposizione gratuitamente e la possibilità di rimetterla in circolo, col desiderio i dire “Grazie” con tutto noi stessi.
Il viaggio della vita è un regalo dell’amore di Dio Padre. È un viaggio di crescita, di esplorazione, di scoperta: della ricchezza che siamo, della preziosità della nostra intelligenza e libertà, dell’amore che abbiamo dentro e desideriamo donare.
Motore di questo viaggio sono le domande che ci rendono curiosi, ci mettono in crisi, non ci permettono di stare fermi.
Presentazione libro di Tobia
Tobia 6, 1-9
Si fermarono a passare la notte sul fiume Tigri.
Il primo incontro è con la notte. Quella notte ha un significato particolare

Le quattro notti della salvezza

La veglia pasquale inizia con la liturgia della luce (benedizione del fuoco e cero pasquale) con il canto del preconio (annuncio) della risurrezione.
Questa liturgia si compone di due elementi:
il fuoco nuovo, da cui si accende il cero pasquale, diventa il simbolo della luce di Cristo che ha attraversato le tenebre del mondo, della storia e del peccato. Il cero acceso diventa il grande richiamo a Cristo Risorto di cui il preconio (exultat – annuncio) solenne celebra le lodi.
In questo annuncio si esprime la gioia e l’esultanza dello spirito perché Dio ha mandato suo figlio che attraverso la sua morte ha cancellato i nostri peccati.
Questa è la vera Pasqua, questa è la notte in cui ha liberato i figli d’Israele, in cui salva tutti i credenti, questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.




La notte di Pasqua è per tradizione ebraico – cristiana la grande notte della salvezza: in essa si rende presente l’evento fondatore dell’Esodo, attraverso il quale Dio si scelse un popolo, lo liberò dalla schiavitù e lo condusse verso la terra della libertà, dimostrando così il sovrano Signore della storia. Vivendo l’esperienza di quella notte, la fede d’Israele sa di preparare il mondo per la venuta del Messia, quando ci sarà la manifestazione piena della gloria di Dio. Tutto in tutti, e la liberazione definitiva del suo popolo e dell’umanità intera.
A sua volta il cristiano celebra nella notte di Pasqua il memoriale della morte e resurrezione di Cristo, centro del tempo e cuore della storia, nuovo inizio di ogni vita che a Lui si apre.
I cristiani celebrano la Pasqua intorno alla mensa dell’Agnello, dove mangiano il pane della vita e bevono al calice della salvezza, nutriti dal Corpo e Sangue del Redentore.
La celebrazione della notte di Pasqua è così decisiva che a essa ci si deve preparare accuratamente. Il cristiano si prepara alla Pasqua attraverso il digiuno, la preghiera e la penitenza quaresimale, segnata da opere di carità e attenzione agli altri, percorrendo così un cammino che culmina nella celebrazione della veglia pasquale.
Proveremo a vivere questa preparazione facendo memoria della Storia della Salvezza delle quattro notti. Attraverso un dialogo tra il padre e il figlio (Es 13,14) a partire dalla domanda “perché” questa notte è diversa da tutte le altre notti?
Raccontare le quattro notti della Salvezza fa rivivere l’esperienza di grazia che in essi il Signore ha donato agli uomini e rende così presente nel nostro oggi le meraviglie dell’amore di Dio.
Ecco come sono presentate nella tradizione ebraica, in rapporto alla benedizione delle quattro coppe di vino.
La prima notte: la creazione.
Seconda notte: quando il Signore si manifesta ad Abramo.
Terza notte: quando il Signore si manifesta contro gli Egiziani durante la notte.
Quarta notte sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento.
Far memoria di queste 4 notti aiuta a entrare intensamente nella notte di Pasqua, culmine e fonte della salvezza nostra e di tutte le creature che sono nel mondo.
Cf. Canto dell’Exsultat (preconio pasquale) notte di Pasqua.
Veglia
La notte della salvezza.
La notte è tempo di silenzio e intimità, di preghiera e di attesa, di prove e di liberazione.
La notte è il luogo in cui le domande diventano più vere e troviamo il coraggio di guardare chi siamo e di chiederci chi vogliamo essere.
Alcune notti cambiano una vita, altre la storia di popoli interi.
La notte è il momento in cui la luce può dare il meglio di sé.
Viviamo questa notte come luogo di incontro con noi e con il nostro Dio: luce senza tramonto.













   1
 
La notte della creazione
Leggere Genesi 1,1 – 2,3
Tutto ha avuto inizio con una parola di Dio che rompe il silenzio perché inizi la vita. Al vertice della creazione l’uomo. Perché? Perchè è a sua immagine e somiglianza, questo significa che nella creazione ha un ruolo importante, che questa vita che ha ricevuto è preziosa.
La prima notte fu quando il Signore si manifestò nel mondo per crearlo. La prima notte della salvezza è quella che precede il primo mattino del mondo (Gen 1,1-5).
Questa prima notte è la condizione per tutte le altre, perché se non ci fosse stata l’opera della creazione non staremmo neanche a celebrare la Pasqua.
Dottrina dello “ZIMZUM” o “contrazione”.
Yizhak lucia, il kabbalista nella seconda metà del XVI secolo nell’alta Galilea concepì l’atto creatore come un generoso far spazio in se stesso da parte di Dio alla creatura, che altrimenti non avrebbe potuto esistere.
“Zimzum” è l’atto del contrarsi, quel farsi piccolo dell’Immenso che consente alla creatura di esistere davanti all’Altro nella libertà: perciò, lo “zimzum” dell’Eterno è l’altro nome del suo amore per gli uomini, espressione di quella Misericordia che l’ebraico significativamente rende con l’idea di “Viscere materne” (Rachamin) e che è anche rispetto e umiltà del creatore davanti alla creatura.
È l’autolimitarsi di Dio per far spazio alla fragilità e piccolezza della misura umana sta proprio nella “kenosi”. Questa “estasi” del divino, questo “star fuori” dell’infinito nel finito in forza dell’amore umile, è al tempo stesso l’appello più alto che si possa concepire all’estasi del mondo, e cioè a quel trasgredire verso il Mistero, che è la vocazione di tutto ciò che esiste: all’iniziativa divina dell’amore è chiamato a corrispondere l’amore delle creature; e come il primo Amore è umile, così questo amore secondo deve essere umiltà.
La notte primogenia rivela dunque la duplice umiltà: l’umiltà dell’amore del Dio creatore, che non esita ad autolimitarsi per fare spazio alla creatura, facendola libera davanti a sé; e l’umiltà della creatura, che è la sola risposta meno inadeguata all’infinito amore.
Farsi spazio aperto, accoglienza dell’altro, sostegno del povero, notte assetata d’aurora che diventa invocazione e fedelissima attesa.
Dio è kenosi, autolimitazione per fare spazio. L’uomo a somiglianza del suo Dio è chiamato all’accoglienza dell’altro.






Traccia per la condivisione

Creare è fare spazio in se stessi da parte di Dio alla creatura. Questa è anche la nostra vocazione essendo creati a sua immagine e somiglianza.
Farsi spazio aperto, accoglienza dell’altro, sostegno del povero



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La notte di Abramo

Leggere: il non – sacrificio di Isacco in Genesi 22,1-18.
Le grandi crisi possono essere una benedizione, le prove, anche se difficili, possono lasciarci migliori di come ci hanno trovato. La paura, l’incomprensione a volte, ci insegnano a fidarci di noi, della vita, di Dio e ci offrono dei doni nuovi e inaspettati.
Dio chiede ad Abramo il sacrificio del figlio, questo è incomprensibile per la nostra mentalità, mentre era usanza comune presso i popoli pagani come modo per espiare le colpe o assicurarsi il favore della divinità.
Come può Dio chiedere ad Abramo questa crudeltà enorme?
Isacco è il figlio che lui stesso gli aveva promesso, che Abramo aveva atteso per lunghissimi anni, è il suo unico figlio. In realtà Dio non vuole il sacrificio di Isacco, Dio ama la vita, ama Abramo e ama Isacco. Vuole solo che Abramo scopra dentro di sé quanto riesce a fidarsi del suo Dio. Il Dio di Abramo, Dio di Gesù e Dio nostro, non manda le prove agli uomini per vedere come se la cavano; e non è nemmeno il Dio che li permette con indifferenza. Il Padre, nella prova sta con noi, il Figlio si è fatto uomo fino alla morte perché questa non avesse l’ultima parola, lo Spirito Santo è l’amore divino che ci sospinge in ogni difficoltà.
Le crisi che viviamo mettono in discussione tutto: presente, passato e futuro ma ci lasciano una speranza nuova. Dio ama la vita e ama l’uomo. Dio nella prova sta con noi.










Traccia per la condivisione
-          Anche Gesù ha potuto vincere la tentazione non nella sicurezza riposta in se stesso ma nella fiducia incrollabile nel Padre suo, nel suo amore, nella sua vicinanza.
-          È la stessa strada che possiamo percorrere anche noi.
-          È questa buona notizia di un Dio che prende a cuore la nostra sorte il faro che ci accompagna nell’oscurità di ogni tempesta.












   3
 
La notte della liberazione


Tutti siamo chiamati a liberarci da qualcosa, per sperimentare che siamo liberi per qualcosa di altro, una missione, un fine, una responsabilità, un compito che va oltre noi. In particolare vogliamo guardare alla libertà delle cose.
Come fare
Leggere: Esodo 14,5-30
Dio libera Israele dalla schiavitù e gli propone una relazione di Alleanza, la promessa di una terra e una vita diversa. Nel lungo cammino nel deserto, il popolo, insieme alla schiavitù è chiamato a lasciare la sicurezza di una situazione conosciuta, cui più o meno si era abituato, per affrontare una vita più vera e più rischiosa.
 Sente la nostalgia per la vita di prima. Il dono grande della libertà richiede il mettersi in gioco in maniera diversa e scegliere di camminare sulle vie del Signore, a volte difficili da comprendere.
Liberi dalle cose – in particolare il fascino delle ricchezze
Liberi per – siamo liberi per realizzare qualcosa di bello con la nostra vita.
A volte non sappiamo subito cosa serviranno i doni che riceviamo. C’è bisogno di tempo per capire come dare il meglio di noi.
Quando giunge la notte di Pessah (Pasqua) i figli d’Israele si siedono, famiglia per famiglia, come fecero i loro padri, attorno ad una mensa addobbata con i segni della redenzione e proclamano le meraviglie che Dio ha operato per loro, quindi mangiano le erbe amare (Morar) e il pane dell’afflizione, pane non lievitato perché l’urgenza della fuga non diede ai figli d’Israele il tempo di farlo lievitare e bevono il vino alle coppe della salvezza.









Traccia per la condivisione
Liberi da …
Liberi per …











   4
 
La quarta notte

La notte della salvezza
La quarta notte sarà quando il mondo giungerà alla sua fine per essere redento. Le sbarre di ferro saranno spezzate e le generazioni degli empi saranno distrutte.
La quarta notte della salvezza è la notte del Messia: egli verrà come luce nella notte, Parola nel silenzio, vita vittoriosa della morte.
È la notte di Pasqua nel nome del Signore, notte predestinata e preparata per la redenzione di tutti i figli d’Israele in ogni loro generazione. Questa è la notte in cui Cristo, spezzando i vincoli della morte, risorge vincitore dal sepolcro.
In questa notte la Parola risuona nel silenzio come luce nella tenebra del cuore e della storia.
In questa notte si celebrano le nozze del Verbo e dello sposo, sigillate dall’amore forte come la morte. È la notte della passione di Gesù: notte del tradimento, della consegna e dell’abbandono.
È la notte dell’amore non amato, del peccato come rifiuto dell’amore, del tradimento. La sua consegna è quella della libertà dell’amore. È la libertà di chi trova la propria vita perdendola, la capacità di rischiare tutto per amore, l’audacia di chi dona tutto.
Gesù si manifesta come l’uomo totalmente libero per amore totalmente finalizzato al Padre e agli altri. Egli testimonia come nessuno sia così libero, quanto chi è libero dalla propria libertà a motivo di un più grande amore, libero da sé egli esiste per il Padre e per gli altri: questa è la sua consegna, l’opzione che fa di lui veramente “l’uomo libero”.






Traccia per la condivisione
La liturgia è sempre e in primo luogo comunione con Gesù Cristo.
Ogni celebrazione e non solo quella eucaristica è una piccola festa pasquale
Gesù festeggia insieme a noi e apre il passaggio dalla morte alla vita.
Dio ti attende a Pasqua per passare con lui ad una vita piena per sempre.
















   1
 
                         Introduzione “Tobia” (1,3; 2,1-8)
Tobi significa “la mia bontà”, ma può trattarsi di una abbreviazione di una frase dove il soggetto della bontà non è Tobi ma il Signore. Dunque “il Signore è buono” o anche “il Signore è il mio bene”.
-          Il libro di Tobia non è una narrazione storica, ma didattica e di carattere edificante.
-          Lo scopo del libro è di trasmettere un insegnamento morale attraverso un racconto fittizio e parabolico.
-          Vengono tracciate due figure.
1)      Quella di un Dio che non cessa di provvedere ai suoi fedeli e se li mette alla prova, è per poi premiarli.
2)      Quella del vero credente che si contraddistingue per l’osservanza rigorosa della legge del Signore e per la carità verso i fratelli.
Il libro è composto tra il 300 – 200 A.C. da un giudeo che viveva in Egitto in ambiente greco. L’eroe della narrazione è subito presentato come un ebreo che, anche in esilio, non abbandona “le vie della verità” (1.3).
In esilio, fra persone di diverse culture e di diversi costumi, generalmente ostili, è facile dimenticarsi (o nascondere) la propria identità morale e religiosa.
Tobi no: rimane fermo nelle tradizioni dei padri.
Tobi è ospitale e, nelle solennità, è solito invitare a pranzo qualche indigente del suo popolo. Dunque la sua è una famiglia aperta, come spesso la Bibbia raccomanda.
Durante una di queste solennità, quando ormai il pranzo era pronto, viene avvertito dal figlio che è stato strangolato un ebreo e il suo cadavere è stato gettato sulla piazza.
A questa notizia corre a prendere il cadavere per poterlo degnamente seppellire dopo il tramonto. È un gesto pericoloso. Per gesti simili Tobi è già stato minacciato di morte. I suoi parenti lo rimproverano, vorrebbero che non si esponesse, ma Tobi obbedisce prima a Dio che al re. L’osservanza della legge viene prima. La fede di Tobi è presentata come una fede coraggiosa.
1)      “Beato l’uomo che teme il Signore e nei suoi precetti trova grande gioia”.
Tobi è questo uomo beato che “non abbandona la via della verità”. Il suo servizio a Dio, il suo timor di Dio non è viltà, non è paura di un severo giudizio da parte dell’Altissimo. Egli ha un cuore grande perché sempre orientato al bene e, non curandosi dei giudizi degli uomini, agisce con libertà e rettitudine di intenzioni.
Tobi non è capace di godere da solo e, d’altra parte, sente come suo il dramma del popolo.
Egli sa pagare di persona, non esita di fronte al rischio, reale, della persecuzione. La sua fedeltà non è integrismo, né legalismo esteriore, ma pratica assoluta di accoglienza, di misericordia, di benevolenza rispettosa della dignità di ogni fratello.
Signore, tu conosci la nostra innata debolezza e l’incapacità di perseverare nel bene pur desiderato. Donaci la forza del tuo Spirito perché sappiamo essere fedeli, nonostante ogni pressione contraria, attraverso tutte le vicissitudini della vita, alla tua verità, alla tua volontà.
Apri il nostro cuore a una compassione universale che sappia tradursi in gesti concreti di accoglienza e di amore.
Traccia per la condivisione 
1)      Appena la gente (anche i tuoi parenti) sapranno che hai deciso di seguire fino in fondo Gesù, scoccheranno contro di te mille frecciatine di compatimenti e maldicenze.
2)      Sarai sommerso di rimproveri e richiami caritativi e amorevoli (diventarai triste, perderai credito di fronte alla gente, invecchiarai prima del tempo, poveretto …)
Ti ricorderanno che dovrai vivere nel mondo stando alle sue regole …
(Passa trenta notti a ballare, a giocare e nessuno troverà da ridire ma se parteciperai alla Messa alla Domenica e aiuterai qualcuno …)

  2
 
Tobia 2,9 – 14                   
Tobi è ospitale e osservante, pratica la legge di Dio anche se questo mette in pericolo la sua vita.
È dunque un uomo che Dio dovrebbe proteggere e premiare. Ma non è così.
Le cose della vita spesso sembrano accadere senza senso, incuranti di quel tipo di giustizia che noi desidereremmo. Tobia, divenuto cieco, messo alla prova, è insultato e deriso dagli amici: a che cosa sono serviti la tua carità e la tua obbedienza?
Vale la pena mettere a repentaglio la propria vita per la legge del Signore?
Ma Tobi non si lamenta, rimane saldo nella sua fede e, anche nella prova, continua a ringraziare il Signore.
Anche la moglie deride il marito: è questo il frutto delle tue elemosine? È chiaro che la tua fedeltà è stata inutile. Così succede spesso al giusto nella prova. Colpito e incompreso. Al dolore della disgrazia si aggiunge il dolore della solitudine. È il momento della tentazione che viene da quegli stessi amici che dovrebbero sostenerlo. È in questo momento che si verifica la solidità della fede e la forza della pazienza.
La pazienza è la virtù della roccia: puoi calpestarla, colpirla, ma non si lascia modificare.
Così è la fede di Tobi.
2)Una disgrazia, un incidente … qualcosa che comunque infrange le già fragili sicurezze di una vita esperta di dolore. E tutto questo accade all’uomo fedele, a colui che “temeva Dio”.
Non è forse uno scandalo, una provocazione, un’ingiustizia?
Quante volte lo stesso spettacolo si è presentato ai nostri occhi? Quante volte noi stessi ci siamo trovati in simili situazioni’
Davanti alle nostre reazioni di mormorazione e di ribellione, ai nostri sussulti di smarrimento e di angoscia, al vacillare della nostra stessa fede la risposta di Tobi suona sconcertante: “Rese grazie al Signore”.
Gli amici lo deridono, la moglie lo insulta, la cecità lo riduce all’impotenza, tra l’incomprensione e il dileggio di chi gli è più vicino: ma egli benedice Dio.
La nostra tentazione sarebbe di archiviare la cosa come assurda, impossibile. Eppure se facciamo tacere il tumulto dei sentimenti e delle reazioni di difesa, e nella verità ci mettiamo in ascolto del nostro cuore profondo, possiamo ritrovare un accordo con l’armonia di Tobi.
Comprendiamo che quell’uomo, umanamente parlando distrutto, è nel giusto quando non si ribella e benedice Dio. Certo, questo atteggiamento non si improvvisa: Tobi “fin dalla fanciullezza aveva temuto Dio e osservato i suoi comandamenti”. Una fede debole, per così dire domenicale, non basta per restare saldi nei momenti difficili.





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La preghiera     
Tobia 3,1-17      
Le due preghiere (quella di Tobi e della giovane Sara) sono tra le cose più belle dell’intero libro.
La preghiera di Tobi nasce dal dolore, è una preghiera fra le lacrime (davanti a Dio può anche piangere) in un certo senso una preghiera di un uomo scoraggiato che non vede aperture nel proprio futuro.
La preghiera è stare davanti a Dio nella propria verità: a volte nella gioia, a volte nel dolore, a volte nello scoraggiamento.
Ma subito ci sono due cose che vanno notate nella preghiera di Tobi:
1)      Anche se la sua vita è senza sbocchi, egli continua a credere che Dio è giusto, misericordioso e leale. Dio non deve essere rimproverato di nulla.
2)      Tobi chiede a Dio l’unica cosa che gli sembra possibile: nel suo dolore senza sbocchi, chiede di morire.  Lo ha fatto anche il profeta Elia (1Re 19) ma Dio è più grande. Va oltre la domanda dell’uomo. Dio non da aTobi la morte ma la vita.
Per Dio non c’è mai una situazione senza sbocchi. E per fortuna non sempre ci dà quello che gli chiediamo.
In contemporanea con la preghiera di Tobi, la preghiera di Sara, disperata, e insultata, senza più un futuro nella sua vita. Anche lei, come Tobi, non cade nella disperazione, ma si pone davanti al Signore, lo supplica fra le lacrime e chiede di essere liberata dalla sua disgrazia, che sembra accompagnarla come una maledizione: si è sposata sette volte e ogni volte il marito è morto nel giorno delle nozze. Sara non chiede di morire (forse troppo giovane per farlo) ma di essere liberata. Non sempre nella vita le cose finiscono bene. La vita conosce anche il silenzio (apparente) di Dio. Ma qui, nel racconto edificante, tutto finisce bene. Dio accoglie le preghiere di Tobi e di Sara e invia il suo angelo per soccorrerli.
Al limite estremo del  dolore ci siamo trovati tutti come Tobi e Sara. Ma quali diversità di comportamenti, di tentativi di soluzione, di reazione si può trovare.
C’è chi vive la sofferenza come qualcosa che attanaglia l’anima, che incombe fino a rinchiudere sotto una cappa che soffoca. Allora si dibatte, si sente smarrito, si agita come un pesce fuori dall’acqua e gettato sulla sabbia, esige risposte, cerca vie d’uscita, magari nel distrarsi o nel trovare il colpevole della situazione … e se alza lo sguardo al cielo è talvolta addirittura per fare a Dio una requisitoria, forse per accusarlo e chiedergli riparazione.
Il comportamento di Tobi e Sara è diverso …
Tobi e Sara pregano. Si aprono all’Altro, a quell’Altro da cui sanno di dipendere come creature. Si rivolgono a Dio e non prima di tutto per raccontare il loro dolore, ma per dirgli la loro adorazione, la loro ammirazione per la sua grandezza e giustizia, la loro illimitata fiducia in lui: per confessare nel loro limite il peccato.
Sanno che egli ha il cuore “più grande”, che è il Dio della vita.
E la loro preghiera non è individuale, privata. Vivono profondamente il loro dramma, ma lo sentono inserito nel dramma più vasto del popolo. Questa apertura è una seconda indicazione per noi, tanto spesso chiusi nel cerchio dei nostri problemi.
Dio non c’entra. Dio non vuole la sofferenza degli uomini: Dio non vuole la morte.
Il nostro è il Dio della vita.
Io mi arrabbio quando sento coinvolgere Dio: “ti manda il cancro …”. Ma è impossibile. “Sia fatta la volontà di Dio … ma Dio non vuole il cancro, assolutamente! Vuole che io sia sano e viva. Non vuole la morte, vuole la vita. Certo noi vogliamo capire e trovare risposte e quindi si è nel dolore, nella sofferenza, non sempre si ragiona, quindi tutti vanno rispettati: ma soprattutto va rispettato Dio!
Perché Dio dimostra, per chi crede, che l’unico suo modo di risposta a tutte queste problematiche drammaticissime e tragiche è che ti manda Gesù Cristo.
E Gesù viene a dirci: “Vengo a soffrire con te, vengo a condividere la tua condizione, vengo a portare la croce con te” (David Maria Turoldo).




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Il senso del Matrimonio
Tobia 6, 10-11; 7, 1-17; 8, 4-9
Queste avventure sono ritmate da lunghe preghiere. La prima è quella che accompagna la celebrazione del matrimonio, la seconda è quella dei due sposi.
La celebrazione del matrimonio è semplicissima (7,13).
Può sorprendere il fatto che il matrimonio in Israele sia vissuto come evento laico e profano. La sua celebrazione non avviene nel tempio o alla sinagoga, ma in famiglia, e non richiede la mediazione dei sacerdoti o di qualsiasi rituale liturgico. E tuttavia il matrimonio è vissuto come un evento profondamente religioso, in cui si rinnova l’azione creatrice di Dio.
La valenza religiosa non si aggiunge al matrimonio dall’esterno ma scaturisce dalla sua intima struttura creazionale: l’amore umano fra l’uomo e la donna è luogo dell’amore di Dio.
Una volta soli i due sposi pregano, e questo è già importante: la comunità familiare è una comunità di amore ma anche di preghiera. Gli sposi non sono mai soli, perché Dio è sempre il loro compagnia. E il progetto che realizzano non è loro ma di Dio. Non si può escludere Dio dalla relazione matrimoniale, né nella relazione di amicizia né nel progetto di Dio.
Ma oltre al fatto che pregano, è interessante come pregano. È una preghiera che chiede, come è giusto che avvenga in ogni preghiera: i due giovani chiedono di essere salvati e chiedono che la loro amicizia giunga fino alla vecchiaia. È soprattutto però una preghiera in cui i due sposi comprendono il senso del loro matrimonio.
Per la Bibbia il senso più profondo di una cosa si trova nella sua origine.
Fu nella prima coppia che Dio creò la struttura essenziale e perenne del matrimonio, che poi rivive in ogni matrimonio. La struttura del matrimonio è anzitutto l’amore, ma non solo l’amore della sposa per lo sposo e viceversa, bensì quello di Dio che ha fatto, gratuitamente, sbocciare l’amore tra i due.
Il matrimonio va vissuto come un dono: “Tu ha creato Adamo e hai creato Eva sua moglie, perché gli fosse di aiuto e sostegno” (8,8); come amore profondo, dono di Dio, ben diverso dalla semplice passione: “prendo in moglie questa mia parente non per passione” (8,6).

Matrimonio 
Dalla televisione alla stampa, al cinema, a internet, alla più banale pubblicità di un qualsiasi prodotto, siamo minacciati da una valanga di immagini e di parole, un vero mercato in cui il sesso, mescolato con ogni possibile ingrediente, è diventato moneta ormai svalutata.
Anche il matrimonio ne risente, anche quello celebrato in Chiesa come sacramento. Nessun credente, nessuna persona retta può restare indifferente.
La proposta che ci fanno oggi Tobi e Sara si pone a livello di motivazioni profonde e suona avvincente come un richiamo e provocante come una sfida. Essi si pongono sulla soglia della loro vita a due con rispetto, la trepidazione e l’ammirazione di chi sa di ricevere un dono inestimabile. Non cercano la realizzazione di un progetto loro, ma si offrono, come docili e responsabili strumenti, al compimento di un disegno che li sovrasta e insieme li interpella e coinvolge. Si sanno pensati l’uno per l’altra da un amore più grande, sono consapevoli che il loro reciproco amore, che fiorisce nel tempo, è eco e risposta a quell’amore più grande che li ha preceduti. Il loro rapporto si apre nella benedizione di Dio, quel “tempo presente” e operante nella loro vicenda. Il Dio della creazione e della storia.
È stato Dio a presentare Eva al nostro primo padre Adamo, a dargliela in moglie: sposi così, è Dio che con la sua mano invisibile, ha stretto il vincolo del vostro matrimonio e vi ha consegnato uno all’altra e viceversa.
-          Il primo effetto di questo amore è l’unione indissolubile dei vostri cuori
-          Il secondo effetto di questo amore deve essere la fedeltà inviolabile di uno per l’altra
-          Il terzo effetto del matrimonio è la legittima generazione dei figli e la loro crescita.





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Tobia 11,5-17
Far tornare i conti è il desiderio dell’uomo, non sempre il vero modo di manifestarsi di Dio.
Il cristiano sa che non necessariamente i conti tornano in questo mondo.
La gioia è la sua prima caratteristica, la gioia corale di una famiglia che esplode quando il figlio lontano ritorna e quando il vecchio padre guarisce. È una gioia sana, umanissima, che si esprime con lacrime di contentezza, con abbracci affettuosi e, cosa più importante con la preghiera di ringraziamento al Signore.
E anche la lezione sottesa al racconto è limpida e umanissima consolante: il Signore mette alla prova, ma non per castigare lui per distruggere, ma sempre e soltanto per purificare e donare di più.
La vicenda di Tobi e Sara volge armai alla conclusione.
Anna riconosce il figlio che torna. Corre Anna, corre il cieco Tobi.
Tobia ritorna con Sara liberata dallo spirito cattivo, Tobi recupera la vista, l’unità della famiglia si ricompone.
La preghiera che Tobi “ti benedico, Signore Dio di Israele, perché dopo avermi provato mi hai guarito” innalza a Dio nella rappacificata intimità familiare, mentre i suoi occhi si aprono sul figlio, ci permette di penetrare oltre le immagini vivaci e ingenue per coglierne il significato più profondo.
Sì Dio ha esaudito la preghiera di Tobi, non ha deluso la sua fiducia, una fiducia che è stata capace di perdurare, persino di crescere, nelle prove.
La vita di Tobia era stata scossa da una tempesta di eventi umanamente tragici, distruttivi. Egli ha saputo vederli come una prova mandata da Dio, ha saputo cogliere in essi la presenza del suo Dio che voleva sperimentare la sua fedeltà.
Tobi non ha deluso Dio.
Sballottato dalle onde e dai venti contrari, Tobi ha saputo affidarsi e credere, al di là di ogni umana ragionevolezza. E sulle sue labbra non si sono trovate che parole di benedizione e di lode al Dio giusto. Ora tocca a Dio. E Dio non delude l’attesa umile, fiduciosa, orante del suo servo, ricompensandolo con divina larghezza.
Ti benedico, Signore, perché dopo avermi provato mi hai guarito. Ti adoro presente nella mia storia. So che tu mi ami. Sei tu, il mio Dio, che mi visiti nel dolore, sei tu il mio Dio, che mi doni la gioia. Tu nell’oscurità della notte senza stelle, tu nel mattino ridente di promesse. Tu alla strettoia del cammino, tu ai chiari orizzonti. Tu sostegno dei deboli, tu luce del cieco. Tu patria dell’esule, tu conforto al sole. Possa la mia vita, visitata dalle tue benedizioni, lodarti e benedirti per sempre.



Tobia 12, 1-15
La storia di Tobi e del figlio Tobia è un canto alla divina provvidenza, ma è anche un canto alla generosità, come è indicato dalla parola “Elemosina”.
Preghiera, digiuno ed elemosina erano le tre pratiche essenziali della pietà giudaica, ma la più importante delle tre è l’elemosina, parola che esprime l’attenzione verso i bisognosi, la compassione e la simpatia nei loro confronti, l’aiuto attivo e generoso.
Tre sono i vantaggi dell’elemosina o carità: libera dalla morte, purifica dai peccati e fa trovare la misericordia e la vita eterna.
Tre vantaggi che possono così sintetizzarsi: la generosità fa vivere e respirare, strappando l’uomo dal chiuso di se stesso e portandolo all’aria libera. Non è solo questione di vita eterna, ma della vita in tutta la sua lunghezza. La generosità è il modo migliore di vivere, anche nel presente.
C’è infine un ulteriore insegnamento: la benevolenza di Dio va raccontata, perché tutti possano gioire, sperare e lodare il Signore.
I doni di Dio non sono mai solo per te: devi raccontarli.
Non raccontare ciò che tu hai fatto per Dio, ma quello che Dio ha fatto per te.
La lunga consuetudine di vita aperta all’altro, attenta ai suoi bisogni: generosa e dimentica di se;
la pratica assidua della carità, di quella elemosina che salva dalla morte pagata col proprio sangue: la costante disposizione a vivere rapportandosi a Dio nella preghiera (benedizione, lode, supplica o lamento);
tutto ha maturato in Tobi una profonda capacità di gratitudine e il bisogno di tradurla in gesti concreti.
Non si era chiuso prima, ripiegato nel suo dolore; non si chiude ora appagato nella sua fedeltà.
Il dolore sperimentato in prima persona l’aveva reso capace di una più ampia compassione. La gioia, accolta come un dono di Dio, lo spinge ora alla riconoscenza verso colui che ne era stato lo strumento e il mediatore. Le parole solenni dell’angelo, ancora in incognito, mettono il sigillo del riconoscimento divino a questa “vita intera” oggetto della misericordia di Dio e in cui Dio può compiere la sua opera.
Tobi sa dire grazie perché sa riconoscere di avere avuto grazia. Non sente nulla come dovuto, tutto gli è dono. E sa dire grazie non solo a Dio, fonte di ogni buona regola, ma anche al fratello, al compagno di viaggio, a colui che in questo dono si è fatto docile ministro.
Solo chi sa di ricevere tutto in dono e ne rende grazie, è capace a sua volta di offrirsi gratuitamente in dono all’altro.

Dio è creatore,
ma la creazione non si realizza una volta per tutte all’inizio del tempo: egli è creatore anche oggi, e domani, e per l’eternità. La tentazione è forte di ignorare questa azione creatrice di Dio che si prolunga nel tempo.
Sappiamo bene che molti uomini e donne sono prigionieri di una visione strettamente materialistica del mondo. La ricerca scientifica mira a scoprire sempre meglio come si sia costruito il mondo e a capire sempre più profondamente le leggi che lo regolano, ma essa si dimostra impotente a tenere conto del tenere conto del senso delle cose.
Dio viene totalmente estromesso dall’esistenza di coloro che si dichiarano atei e non trova alcun posto nella loro spiegazione del mondo materiale.
Ma “se l’uomo esiste è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore non cessa di dargli l’esistenza.
Questo vale per l’uomo e vale per tutto l’universo, frutto dell’amore di Dio creatore” ( Cl. Morel)


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