"RELATIVISMO E CULTURA DEL
SUPERFLUO"
Considerata l'importanza dell'argomento trattato e lo spazio a
disposizione riportiamo, della lunga relazione tenuta nella "Convivenza diocesana del 22 marzo 2015", solo una sintesi autentica che
appare comunque esaustiva.
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Questo titolo che si compone di due parti,
relativismo e superfluo pone un problema di stringente attualità. Sul
relativismo e conseguente nichilismo gli ultimi due papi, Giovanni Paolo II e Benedetto
XVI hanno parlato, con toni allarmati più volte. Possiamo esaminarne brevemente
tre aspetti del relativismo: 1) nel campo della conoscenza,2) nel campo della
morale, 3) nel campo culturale. In ognuno di questi tre aspetti il relativismo
nega che ci sia qualcosa di assoluto, di valido per sempre e in ogni luogo. (Per continuare a leggere la relazione cliccate sotto su "Continua a leggere....
Il relativismo linguistico sostiene che la diversità delle
lingue consente una diversa visione del mondo. Significa che i cinesi in quanto
parlano una lingua diversa dai tedeschi, faccio un esempio, hanno del mondo una
visione diversa, perché il linguaggio struttura il nostro rapporto col mondo
esterno. La visione del mondo è relativa alla lingua che si parla.
Il relativismo culturale nel Novecento ha relativizzato il
concetto di cultura; vi sono tantissime culture, la cultura degli aborigeni
australiani, la cultura degli abitanti delle Ande, quella delle periferie
urbane, quella della classe operaia, ecc., sono solo degli esempi. Ciò nasce
dall’idea che cultura non è solo quella che si apprende a scuola, dai libri, la
cultura dell’intelligenza, ma cultura è l’insieme dei modi di vivere, di
curarsi, di parlare. In sostanza il concetto di cultura si è frammentato dando
luogo a tutte le culture immaginabili. Concetto esteso anche al mondo animale.
Il relativismo culturale ha
combattuto le esclusioni, negando ogni pretesa di superiorità. La tolleranza e
il rispetto degli altri facilita la tolleranza e la democrazia.
La cultura dei pellerossa
d’America aveva tutto il diritto di
essere apprezzata, come tutte le altre. Tutte hanno i loro valori, credenze,
religione, ecc. L’uomo bianco ha preteso di esportare i suoi modelli culturali
perché ritenuti migliori e spesso lo ha fatto imponendoli con la violenza e la
sopraffazione. Con la nostra cultura abbiamo esportato le nostre malattie e
spesso i nostri difetti e ci siamo appropriati delle loro terre.
Relativismo morale consiste nell’ idea che nel campo della morale non vi
sono principi che valgano per sempre e dovunque. Come dire che la morale cambia
e ciò che è bene in una realtà non lo è in un’altra. La morale segue
l’evoluzione della storia e con essa evoluzione come cambiano i modi di
vestirsi, di divertirsi, di comportarsi, allo stesso modo cambiano i principi o
i valori. La sacralità della vita, già dal concepimento, l’indissolubilità del
matrimonio, il concetto di famiglia costituita dal contratto fra un uomo e una
donna, giusto per fare qualche esempio, sono principi seriamente contestati. Si
tratta di un relativismo che già nell’antichità aveva i suoi sostenitori,
ma nei tempi nostri ha invaso anche la dottrina giuridica tramutandosi in
leggi. Bene ed utile si sono confusi e ciò che mi serve e mi fa comodo è buono.
La crisi dei principi, lo slittamento, la frammentazione in ogni campo
impediscono lo sforzo di tenere fermi i caposaldi della morale per consentire
anche la loro applicazione alle mutate condizioni storiche. Succede come nelle
valanghe dove una serie di spinte fa franare il terreno che travolge tutto. In
misura diversa siamo tutti dentro la frana. Rimane fermo nella difesa dei
principi, solo chi crede che solo Lui è la Via, la Verità, la Vita. Un’azione
buona lo deve essere per tutti, soccorrere chi ha bisogno non può valere qui si
e lì no.
La cultura
del superfluo ha qualche rapporto con quanto appena detto? Superfluo è ciò
che non è indispensabile, che è eccessivo; questo lo dice il vocabolario e
tutti possiamo accettarlo. Probabilmente non tutti però concordiamo sull’idea
di superfluo, perché se io sono molto ricco ritengo che certi acquisti sono indispensabili,
e se invece sono disoccupato si restringe l’elenco delle cose che sono
indispensabili, si restringono le mie possibilità di adeguarmi al consumismo. Quando
l’ISTAT aggiorna il paniere dei prodotti indispensabili ci mette pane, pasta,
salsa e diverse centinaia di prodotti e servizi ; tutti i prodotti e servizi di
prima necessità, ma ciò che il paniere contiene non è accessibile a tutti nella
stessa misura. Chi dovrebbe adeguare la propria vita alla sobrietà non lo fa e
chi si contenterebbe di essere sobrio non può farlo perché gli manca il
necessario. Ma il discorso se vale per le minime spese, vale di più per chi
avrebbe la possibilità di contenersi nello spendere e non lo fa. Si tratta dei
consumatori del lusso, delle spese pazze, della ricerca di guadagni illeciti.
La nostra stampa quotidiana ce ne fornisce una quantità scandalosa. Quando lo
stile di vita mette al centro se stessi, ignorando che nel mondo la somma delle
sofferenze per la mancanza di cibo, della possibilità di curarsi, di avere
un’istruzione, significa che i principi della morale, dell’attenzione al
prossimo non sono validi. Ognuno fa quello che gli fa comodo e peggio per gli
altri. Ognuno di noi può fare un serio esame di coscienza e stabilire se è
nella condizione di togliere qualcosa a ciò che ha, o è nella condizione di
doverlo avere da chi gli è prossimo. E ciò non impedisce al povero il sogno di
diventare ricco e vivere come i ricchi di cui sente parlare, ma non impedirebbe
al ricco di scegliere di farsi povero. Difficili entrambe le posizioni.
Prof. Emanuele Messina
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