Mi piace
pensare all’amico Emanuele che “più ambiziosamente” mira “ad una società umana,
solidale” e contribuisce con entusiasmo alla costruzione, intanto, della vostra
collettività e, più in generale, della nostra società Siamo quindi di fronte ad un’opera, che,
apertamente, chiede il confronto e vuole essere letta come libero e amorevole contributo dell’esperienza di chi ha percorso
tanta strada, alle discussioni sul presente/futuro e all’analisi della nostra
condizione. Vorrei sottoporre alla vostra attenzione ancora una nota sulla
fluidità della scrittura e sulla leggibilità dello stile dell’autore che coinvolge il lettore alla pari dei temi
affrontati, “coinvolti in un tema di
normale quotidianità”, come recita il sottotitolo.
Oggi, quando
dominano incertezza e problematicità, appare difficile per tutti indicare rotte e tracciare percorsi. Né sappiamo bene quali strumenti siano più utili al nostro viaggio. Perché si tratta proprio di un viaggio esistenziale, culturale, che coinvolge interamente e costringe a fare i conti con il nostro quotidiano. D’altronde sappiamo bene che il viaggiatore lascia una casa, un paese, un nido per confrontarsi con realtà diverse, con persone altre, con verità inattese. L’autore fornisce gli elementi per l’approccio al tema del rapporto Progresso e Felicità, passo passo: ci dice che i termini sono “coinvolti in un tema di normale quotidianità”(sottotitolo) per poi indicarci, farci toccare con mano la problematicità di una definizione condivisa di progresso. E se ci fossero modelli altri rispetto a quelli che noi conosciamo? Si spiega così il titolo del primo capitolo ”Il progresso con precisazioni”. E sono le precisazioni, messe a fuoco da continui interrogativi a consentire lo sviluppo del discorso e del viaggio. Come potremmo essere sicuri del nostro progredire rispetto ad altri modelli senza precisare? Ad esempio: deve progredire tutto l’uomo con i suoi sogni, desideri, fantasie o ci si può accontentare di un progresso che trascuri qualche dimensione dell’uomo? Quali sono gli indicatori perché si possa dire che stiamo progredendo? Ed è così che il primo capitolo del libro ci conduce ad una provvisoria conclusione: “ciò che a prima vista appare semplice, se indagato attentamente mostra non pochi aspetti problematici che la storia dell’idea di progresso non ha mancato di evidenziare.” Da qui si riparte ampliando ed inglobando altri elementi: ”Ci vuole una guida, un punto di riferimento che sta fuori della scienza e della tecnica, che è nel buon senso, nella morale, nella coscienza illuminata.” (pag.28) Non può mancare l’analisi della ragione, che ci caratterizza in quanto uomini, del suo rapporto col progresso e con la volontà. La ragione indaga, scopre, ma ha bisogno di regole precise per non derogare nel suo lavoro di scoperta e indagine. La coscienza, comunque, della parzialità delle nostre conoscenze ci rende familiare quanto ricorda il Qoelet biblico “molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta l’affanno”. Ma questo lavorio , lo “sviluppo della razionalità ha dato all’uomo margini maggiori di felicità?” La scienza forse fatica a dare credito a ciò che non è quantità, causalità, mentre oggi si avverte , secondo Berger, sociologo austriaco, un bisogno di Dio che trova modo e strade per esprimersi. Tuttavia la domanda di fondo deve essere chiara: crescita e sviluppo di scienza e tecnica hanno contribuito a dare all’uomo una vita più piena? A renderlo felice o non sono in grado di rivolgersi all’uomo nella sua totalità?
dominano incertezza e problematicità, appare difficile per tutti indicare rotte e tracciare percorsi. Né sappiamo bene quali strumenti siano più utili al nostro viaggio. Perché si tratta proprio di un viaggio esistenziale, culturale, che coinvolge interamente e costringe a fare i conti con il nostro quotidiano. D’altronde sappiamo bene che il viaggiatore lascia una casa, un paese, un nido per confrontarsi con realtà diverse, con persone altre, con verità inattese. L’autore fornisce gli elementi per l’approccio al tema del rapporto Progresso e Felicità, passo passo: ci dice che i termini sono “coinvolti in un tema di normale quotidianità”(sottotitolo) per poi indicarci, farci toccare con mano la problematicità di una definizione condivisa di progresso. E se ci fossero modelli altri rispetto a quelli che noi conosciamo? Si spiega così il titolo del primo capitolo ”Il progresso con precisazioni”. E sono le precisazioni, messe a fuoco da continui interrogativi a consentire lo sviluppo del discorso e del viaggio. Come potremmo essere sicuri del nostro progredire rispetto ad altri modelli senza precisare? Ad esempio: deve progredire tutto l’uomo con i suoi sogni, desideri, fantasie o ci si può accontentare di un progresso che trascuri qualche dimensione dell’uomo? Quali sono gli indicatori perché si possa dire che stiamo progredendo? Ed è così che il primo capitolo del libro ci conduce ad una provvisoria conclusione: “ciò che a prima vista appare semplice, se indagato attentamente mostra non pochi aspetti problematici che la storia dell’idea di progresso non ha mancato di evidenziare.” Da qui si riparte ampliando ed inglobando altri elementi: ”Ci vuole una guida, un punto di riferimento che sta fuori della scienza e della tecnica, che è nel buon senso, nella morale, nella coscienza illuminata.” (pag.28) Non può mancare l’analisi della ragione, che ci caratterizza in quanto uomini, del suo rapporto col progresso e con la volontà. La ragione indaga, scopre, ma ha bisogno di regole precise per non derogare nel suo lavoro di scoperta e indagine. La coscienza, comunque, della parzialità delle nostre conoscenze ci rende familiare quanto ricorda il Qoelet biblico “molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta l’affanno”. Ma questo lavorio , lo “sviluppo della razionalità ha dato all’uomo margini maggiori di felicità?” La scienza forse fatica a dare credito a ciò che non è quantità, causalità, mentre oggi si avverte , secondo Berger, sociologo austriaco, un bisogno di Dio che trova modo e strade per esprimersi. Tuttavia la domanda di fondo deve essere chiara: crescita e sviluppo di scienza e tecnica hanno contribuito a dare all’uomo una vita più piena? A renderlo felice o non sono in grado di rivolgersi all’uomo nella sua totalità?
Uno dei temi
affrontati da Emanuele, con molta passione e dottrina, verte sullo sviluppo
scientifico e tecnologico: come si è realizzato, quali sono i presupposti
teorici, quali le attese, quali infine le aspettative suscitate? Quale il senso e
cosa dobbiamo farne? Una domanda legittima è la seguente, che trovate sulla
quarta di copertina: “Di fronte alla seduzione del progresso tecnologico e alla
crescente astrazione della scienza, quale reale conoscenza scientifica si
diffonde fra le persone? Il sapere scientifico che domina il mondo non riesce a
diventare cultura e a incidere sul sentire degli uomini.” Una persona di media
cultura quanto capisce e conosce della cultura scientifica?
Nel secondo
capitolo troviamo un tema molto interessante. L'autore tende a fare in ordine al fondamento oggettivo della
verità, contro le posizioni che negano l’esistenza di una verità assoluta, che
si collochi dopo il nostro semplice conoscere. Si pone quindi la domanda sulla
verità. Nella trattazione si affrontano due posizioni nettamente distinte e
contrapposte. Da una parte l’esigenza che la verità venga sottratta al
fluttuare della storia, al relativismo; la presa d’atto che la questione della
verità non è eliminabile dall’orizzonte moderno; la consapevolezza che la
verità conduce a sapere non solo come è fatto il mondo, ma anche il perché e
soprattutto ci dà il senso delle cose. Dall’altra la visione della filosofia
pragmatista: La verità è ciò che funziona. “Un’affermazione vera è quella che
una comunità libera concorda essere
vera”(Rorty, Verità e libertà). Lo scontro fra le due posizioni è
evidentemente radicale: da un lato l’oggettività della verità e la possibilità
di uno studio della verità; dall’altro la negazione di un fondamento oggettivo
della verità, che andrà cercata nel consenso, nella conversazione, nella
convinzione che la conoscenza sia risultato d interpretazioni.
La verità,
afferma Emanuele Messina, perderebbe la sua dimensione stabile se fosse
allontanata da Dio e “per il credente ragione e verità hanno la loro matrice in
Dio.” A sostegno, viene citata la Lumen Fidei di Papa Bergoglio, al n. 25,
contro l’ubriacatura tecnologica a favore della verità che, quando spiega l’insieme
della vita personale e sociale è guardata con sospetto. Dice il Papa: ”La
domanda di verità è una questione di memoria, di memoria profonda, perché si
volge a qualcosa che ci prende…E’ una domanda all’origine di tutto, alla cui luce
si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune.” Inoltre Papa
Benedetto XVI afferma: “Verità significa più che sapere: la conoscenza della
verità ha come scopo la conoscenza del bene”(Discorso non letto alla Sapienza
di Roma). “Per Rorty non c’è la verità da cercare, c’è solo da interpretare: I
grandi scienziati inventano descrizioni del mondo utili ai fini della
predizione e del controllo degli eventi, proprio come i poeti e i pensatori
inventano altre creazioni per altri scopi”(pag.47). A contrasto ancora una
volta si ribadisce il fondamento stabile della verità contro lo smottamento del
”fluttuare a favore di ciò che fa comodo”. La verità è fondata su Dio, Dio è la
verità. Al di fuori di tale fondamento il rapporto ragione/verità diventa
problematico.
La domanda che ritorna martellante, per l’autore, è se lo sviluppo della
scienza e della tecnica abbia portato all’uomo di oggi felicità, “quel
sentimento di pace interiore, di benessere psichico che chiamiamo felicità”,
come la definisce elegantemente nel testo. Alla domanda ritorna, pur con
diversa formulazione, dopo ogni indagine, riflessione o incursione nella storia
e la risposta è sempre negativa: non può lo sviluppo tecnologico, da solo,
soddisfare le nostre esigenze, che sono certo di ordine materiale --e siamo
contenti di avere di più—ma riguardano anche l’uomo nella sua totalità, nella
dimensione affettiva, fantastica, religiosa, amicale, etc… Forse
non è un caso che il libro si chiuda su un sintagma “confusione e paura”.
Certamente i due termini sono preceduti da elementi positivi: potenzialità,
consapevolezza, dignità e da concrete proposte avanzate nel testo, ma il loro
peso è schiacciante. In forma di domanda: tutto il saggio è, tra
le altre cose, un tentativo di esorcizzare confusione e paura di fronte alla
realtà contemporanea, intrisa di tecnologia, postmoderno e globalizzazione? Non
pretendo risposta immediata… E’ certo che l’autore conduce il lettore per tante
pagine, analizzando i termini Progresso e Felicità, che vengono declinati in
tante sfumature e in tante accezioni. E’ il progresso ad impegnare di più,
perché di esso si insegue lo sviluppo in vari periodi storici e si ricostruisce
il pensiero di quanti se ne sono, a vario titolo, occupati. Il progresso tecnologico
ha, certamente, assunto un peso grandissimo nella nostra realtà odierna e aumenterà
il suo ritmo di crescita in modo esponenziale. Si dovrebbe usare prudenza, fare
ricorso al principio di responsabilità in modo da evitare errori da cui non si
possa tornare indietro, si potrebbe tentare di spiritualizzare il progresso
tecnico.
“Perché non fermiamo lo sviluppo
per cinque anni e ci dedichiamo a risolvere le spaventose diseguaglianze del
nostro mondo?” Il pensiero dell’autore prende corpo nell’idea, avanzata più
volte all’interno del lavoro, che sia giunto il momento per dirci che è necessario
cambiare modello di sviluppo, perché la crisi in cui viviamo non è
congiunturale, sembra invece essere proprio di sistema.
Dov’è la felicità? Perché non abbiamo
finanziato una ricerca per lo sviluppo morale che affianchi le ricerche
tecnologiche? Il progresso ha tenuto, e continua a tenere ancora oggi, due
velocità: è più lenta quella in campo
etico morale. Ma qui, come ci ricorda Benedetto XVI, entra in gioco la libertà
della persona, che deve ripartire sempre da capo e non è cumulativa come il
progresso scientifico-tecnologico. “In
questa civiltà postmoderna la frammentazione, la contraddizione, il
disorganico, i linguaggi sincopati sono caratterizzanti. Il postmoderno corre ,
si precipita, scombina grammatica e sintassi, inventa linguaggi nuovi.”(pag.
137). Quali strade possiamo trovare, quali vie o sentieri per farci prossimo e
camminare insieme? Occorre in nuovo umanesimo--bisogna riprendere l’inchiesta
sull’uomo, direbbe Emanuele-- che non si tiri indietro, che con intelligenza si
applichi alla ricerca di soluzioni. L’autore invita alla fine del suo lavoro ad
una più coraggiosa speranza e alla fiducia nell’uomo. Scuola e cultura potranno
trovare i nuovi modelli, mentre i media dovranno collaborare con impegno e
serietà.
Sortino,
16 novembre 2014
Paolo
Buccheri
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