domenica 23 novembre 2014

"PROGRESSO E FELICITA'" il saggio di Emanuele Messsina

La recensione del saggio é curata da Paolo Buccheri
Mi piace pensare all’amico Emanuele che “più ambiziosamente” mira “ad una società umana, solidale” e contribuisce con entusiasmo alla costruzione, intanto, della vostra collettività e, più in generale, della nostra società  Siamo quindi di fronte ad un’opera, che, apertamente, chiede il confronto e vuole essere letta come libero e amorevole  contributo dell’esperienza di chi ha percorso tanta strada, alle discussioni sul presente/futuro e all’analisi della nostra condizione. Vorrei sottoporre alla vostra attenzione ancora una nota sulla fluidità della scrittura e sulla leggibilità dello stile dell’autore che  coinvolge il lettore alla pari dei temi affrontati, “coinvolti in un tema di normale quotidianità”, come recita il sottotitolo.
 Oggi, quando
dominano incertezza e problematicità, appare difficile per tutti indicare rotte e tracciare percorsi. Né sappiamo bene quali strumenti siano più utili al nostro viaggio. Perché si tratta proprio di un viaggio esistenziale, culturale, che coinvolge interamente e costringe a fare i conti con il nostro quotidiano. D’altronde sappiamo bene che il viaggiatore lascia una casa, un paese, un nido per confrontarsi con realtà diverse, con persone altre, con verità inattese. L’autore fornisce gli elementi per l’approccio al tema del rapporto Progresso e Felicità, passo passo: ci dice che i termini sono “coinvolti in un tema di normale quotidianità”(sottotitolo) per poi indicarci, farci toccare con mano la problematicità di una definizione condivisa di progresso. E se ci fossero modelli altri rispetto a quelli che noi conosciamo? Si spiega così il titolo del primo capitolo ”Il progresso con precisazioni”. E sono le precisazioni, messe a fuoco da continui interrogativi a consentire lo sviluppo del discorso e del viaggio. Come potremmo essere sicuri del nostro progredire rispetto ad altri modelli senza precisare? Ad esempio: deve progredire tutto l’uomo con i suoi sogni, desideri, fantasie o ci si può accontentare di un progresso che trascuri qualche dimensione dell’uomo? Quali sono gli indicatori perché si possa dire che stiamo progredendo?     Ed è così che il primo capitolo del libro ci conduce ad una provvisoria conclusione: “ciò che a prima vista appare semplice, se indagato attentamente mostra non pochi aspetti problematici che la storia dell’idea di progresso non ha mancato di evidenziare.” Da qui si riparte ampliando ed inglobando altri elementi: ”Ci vuole una guida, un punto di riferimento che sta fuori della scienza e della tecnica, che è nel buon senso, nella morale, nella coscienza illuminata.” (pag.28)  Non può mancare l’analisi della ragione, che ci caratterizza in quanto uomini, del suo rapporto col progresso e con la volontà. La ragione indaga, scopre, ma ha bisogno di regole precise per non derogare nel suo lavoro di scoperta e indagine.  La coscienza, comunque, della parzialità delle nostre conoscenze ci rende familiare quanto ricorda  il Qoelet biblico  “molta sapienza, molto affanno; chi accresce il sapere aumenta l’affanno”. Ma questo lavorio , lo “sviluppo della razionalità ha dato all’uomo margini maggiori di felicità?” La scienza forse fatica a dare credito a ciò che non è quantità, causalità, mentre oggi si avverte , secondo Berger, sociologo austriaco, un bisogno di Dio che trova modo e strade per esprimersi. Tuttavia la domanda di fondo deve essere chiara: crescita e sviluppo di scienza e tecnica hanno contribuito a dare all’uomo una vita più piena? A renderlo felice o non sono in grado di rivolgersi all’uomo nella sua totalità?
Uno dei temi affrontati da Emanuele, con molta passione e dottrina, verte sullo sviluppo scientifico e tecnologico: come si è realizzato, quali sono i presupposti teorici, quali le attese, quali infine  le aspettative suscitate? Quale il senso e cosa dobbiamo farne? Una domanda legittima è la seguente, che trovate sulla quarta di copertina: “Di fronte alla seduzione del progresso tecnologico e alla crescente astrazione della scienza, quale reale conoscenza scientifica si diffonde fra le persone? Il sapere scientifico che domina il mondo non riesce a diventare cultura e a incidere sul sentire degli uomini.” Una persona di media cultura quanto capisce e conosce della cultura scientifica?   
Nel secondo capitolo troviamo un tema molto interessante. L'autore tende a fare  in ordine al fondamento oggettivo della verità, contro le posizioni che negano l’esistenza di una verità assoluta, che si collochi dopo il nostro semplice conoscere. Si pone quindi la domanda sulla verità. Nella trattazione si affrontano due posizioni nettamente distinte e contrapposte. Da una parte l’esigenza che la verità venga sottratta al fluttuare della storia, al relativismo; la presa d’atto che la questione della verità non è eliminabile dall’orizzonte moderno; la consapevolezza che la verità conduce a sapere non solo come è fatto il mondo, ma anche il perché e soprattutto ci dà il senso delle cose. Dall’altra la visione della filosofia pragmatista: La verità è ciò che funziona. “Un’affermazione vera è quella che una comunità libera concorda essere  vera”(Rorty, Verità e libertà). Lo scontro fra le due posizioni è evidentemente radicale: da un lato l’oggettività della verità e la possibilità di uno studio della verità; dall’altro la negazione di un fondamento oggettivo della verità, che andrà cercata nel consenso, nella conversazione, nella convinzione che la conoscenza sia risultato d interpretazioni.  
La verità, afferma Emanuele Messina, perderebbe la sua dimensione stabile se fosse allontanata da Dio e “per il credente ragione e verità hanno la loro matrice in Dio.” A sostegno, viene citata la Lumen Fidei di Papa Bergoglio, al n. 25, contro l’ubriacatura tecnologica a favore della verità che, quando spiega l’insieme della vita personale e sociale è guardata con sospetto. Dice il Papa: ”La domanda di verità è una questione di memoria, di memoria profonda, perché si volge a qualcosa che ci prende…E’ una domanda all’origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune.” Inoltre Papa Benedetto XVI afferma: “Verità significa più che sapere: la conoscenza della verità ha come scopo la conoscenza del bene”(Discorso non letto alla Sapienza di Roma). “Per Rorty non c’è la verità da cercare, c’è solo da interpretare: I grandi scienziati inventano descrizioni del mondo utili ai fini della predizione e del controllo degli eventi, proprio come i poeti e i pensatori inventano altre creazioni per altri scopi”(pag.47). A contrasto ancora una volta si ribadisce il fondamento stabile della verità contro lo smottamento del ”fluttuare a favore di ciò che fa comodo”. La verità è fondata su Dio, Dio è la verità. Al di fuori di tale fondamento il rapporto ragione/verità diventa problematico.                                                                                                                 
La domanda che ritorna martellante, per l’autore, è se lo sviluppo della scienza e della tecnica abbia portato all’uomo di oggi felicità, “quel sentimento di pace interiore, di benessere psichico che chiamiamo felicità”, come la definisce elegantemente nel testo. Alla domanda ritorna, pur con diversa formulazione, dopo ogni indagine, riflessione o incursione nella storia e la risposta è sempre negativa: non può lo sviluppo tecnologico, da solo, soddisfare le nostre esigenze, che sono certo di ordine materiale --e siamo contenti di avere di più—ma riguardano anche l’uomo nella sua totalità, nella dimensione affettiva, fantastica, religiosa, amicale, etc…                                            Forse non è un caso che il libro si chiuda su un sintagma “confusione e paura”. Certamente i due termini sono preceduti da elementi positivi: potenzialità, consapevolezza, dignità e da concrete proposte avanzate nel testo, ma il loro peso è schiacciante. In forma di domanda:                        tutto il saggio è, tra le altre cose, un tentativo di esorcizzare confusione e paura di fronte alla realtà contemporanea, intrisa di tecnologia, postmoderno e globalizzazione? Non pretendo risposta immediata… E’ certo che l’autore conduce il lettore per tante pagine, analizzando i termini Progresso e Felicità, che vengono declinati in tante sfumature e in tante accezioni. E’ il progresso ad impegnare di più, perché di esso si insegue lo sviluppo in vari periodi storici e si ricostruisce il pensiero di quanti se ne sono, a vario titolo, occupati. Il progresso tecnologico ha, certamente, assunto un peso grandissimo nella nostra realtà odierna e aumenterà il suo ritmo di crescita in modo esponenziale. Si dovrebbe usare prudenza, fare ricorso al principio di responsabilità in modo da evitare errori da cui non si possa tornare indietro, si potrebbe tentare di spiritualizzare il progresso tecnico. 
“Perché  non fermiamo lo sviluppo per cinque anni e ci dedichiamo a risolvere le spaventose diseguaglianze del nostro mondo?” Il pensiero dell’autore prende corpo nell’idea, avanzata più volte all’interno del lavoro, che sia giunto il momento per dirci che è necessario cambiare modello di sviluppo, perché la crisi in cui viviamo non è congiunturale, sembra invece essere proprio di sistema.
 Dov’è la felicità? Perché non abbiamo finanziato una ricerca per lo sviluppo morale che affianchi le ricerche tecnologiche? Il progresso ha tenuto, e continua a tenere ancora oggi, due velocità:  è più lenta quella in campo etico morale. Ma qui, come ci ricorda Benedetto XVI, entra in gioco la libertà della persona, che deve ripartire sempre da capo e non è cumulativa come il progresso scientifico-tecnologico.                                                                                                                                                                   “In questa civiltà postmoderna la frammentazione, la contraddizione, il disorganico, i linguaggi sincopati sono caratterizzanti. Il postmoderno corre , si precipita, scombina grammatica e sintassi, inventa linguaggi nuovi.”(pag. 137). Quali strade possiamo trovare, quali vie o sentieri per farci prossimo e camminare insieme? Occorre in nuovo umanesimo--bisogna riprendere l’inchiesta sull’uomo, direbbe Emanuele-- che non si tiri indietro, che con intelligenza si applichi alla ricerca di soluzioni. L’autore invita alla fine del suo lavoro ad una più coraggiosa speranza e alla fiducia nell’uomo. Scuola e cultura potranno trovare i nuovi modelli, mentre i media dovranno collaborare con impegno e serietà.

Sortino, 16  novembre 2014                                                                          

                                                                                                                                  Paolo Buccheri

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